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La storia

26 July 2023

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1862 - 1865: I primi passi della Camera di Commercio ed Arti di Reggio Calabria

L'atto di nascita della Camera di Commercio ed Arti di Reggio Calabria porta la data del 23 ottobre 1862: la firma di Re Vittorio Emanuele II sanciva l'istituzione dell'Ente. Il nuovo organismo costituiva il punto di riferimento degli interessi commerciali ed industriali della provincia reggina, ed era deputato a rappresentarli presso il Governo, secondo quanto stabilito dalla Legge emanata il 6 Luglio 1862, con cui si istituivano ufficialmente le Camere di Commercio ed Arti in tutto il Regno d'Italia, fornendo un ordinamento a quelle, impostate sul modello napoleonico, già operanti in molte città. Le Camere, fondate sul principio rappresentativo, avevano una composizione che variava tra i nove ed i ventuno membri, eletti tra commercianti, industriali, artigiani e capitani marittimi iscritti nelle liste elettorali politiche dei comuni della propria circoscrizione.
Il primo atto ufficiale del nuovo Ente reggino risale al 1° gennaio 1863, quando i tredici membri, rappresentanti delle categorie produttive, si riunirono per eleggere il Presidente, mentre nei pochi mesi intercorsi tra il Regio Decreto e l'elezione, assunse la carica di Presidente ad interim il cav. Agostino Plutino, figura di spicco dell'aristocrazia reggina distintosi per la partecipazione attiva al Risorgimento ed alla causa unitaria. La prima sede della Camera era situata sul Corso Garibaldi, al numero civico 95, in prossimità degli uffici della Prefettura e della Provincia.
Il primo Consiglio Camerale risultava così composto: Domenico Cortese, Francesco Romeo, Ferdinando Scuderi, Salvatore Rognetta, Pietro Attanasio, Salvatore Marletta, Filippo Federico, Saverio Melissari, Giuseppe Sallazzaro, Antonio Serra, Agostino Plutino, tutti di Reggio Calabria, Giuseppe Gullì di Scilla e Matteo Gargiulo di Siderno.
Dunque, l'1 gennaio 1863 veniva proclamato il primo Presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria: Salvatore Rognetta, imprenditore reggino particolarmente erudito in fatto di ordinamenti governativi e profondo sostenitore di una politica di sviluppo a favore dell'intera provincia, fu scelto come massimo esponente dell'Ente.
Per comprendere a fondo il contesto nel quale nasceva la Camera di Commercio ed Arti di Reggio Calabria, e di conseguenza il ruolo ed il peso che andava ad assumere nella gestione delle politiche cittadine, è necessario esaminare alcuni elementi di natura storico-sociologica.
Reggio Calabria viveva un periodo di transizione e di grandi trasformazioni: ricostruita l'immagine architettonica della città dopo il terremoto che l'aveva devastata nel 1783, l'economia trovava il suo maggiore impulso nelle attività commerciali e nell'agricoltura.
Proprio nella politica di ammodernamento della città, attuata dagli amministratori del tempo, trovava la giusta collocazione l'attività di una Camera che esprimesse in maniera forte e coerente le esigenze di quei comparti produttivi che costituivano le colonne portanti dell'economia provinciale, le categorie che meglio di altre rappresentavano le basi da cui far decollare lo sviluppo del territorio.
Tali esigenze e proposte si trovano ben evidenziate nel discorso con il quale, il 6 gennaio 1865, il presidente Salvatore Rognetta lasciava la propria carica per “incompatibilità di nuovi uffici assunti”.
La testimonianza risulta particolarmente preziosa perché riassume le attività svolte dalla Camera di Commercio di Reggio Calabria nei primi due anni di vita, fornendo elementi concreti ed interessanti sullo stato dell'economia nella provincia e su questioni allora ritenute di particolare urgenza alle quali l'attività della Camera apportò un contributo essenziale.
Dalla prolusione di Rognetta emerge chiaro l'impegno della Camera, “novella istituzione”, nell'affrontare i primi ostacoli di natura organizzativa e logistica: la fondazione di una segreteria, lo stanziamento di un bilancio, la realizzazione di una sede adeguata. La redazione di un ordinamento interno era tra le priorità stabilite per rendere perfettamente funzionale l'Ente, e dunque rispondere a quelle richieste che lo stesso Presidente indicava nel suo discorso: “l'aspettativa del pubblico che
brama di trovare in questa rappresentanza la tutrice del Commercio, della industria e delle arti
”.
Il bilancio fissato per mantenere la Segreteria della Camera nei primi due anni era, precisamente, pari a 5.008 lire per il 1863 e 7.826 lire per il 1864, con un aumento dovuto alle “cresciute spese di mobilia” e “della iniziata biblioteca dotata di una copia dell'Enciclopedia popolare e delle migliori opere degli economisti politici”.
Le sale erano state ornate con grandi carte geografiche, “per ragione delle strette attinenze del commercio con la navigazione”.
Quei libri, acquistati negli anni, costituiscono un patrimonio bibliografico ed uno strumento di informazione economica ancora tutto da scoprire. Il presidente Rognetta si diceva soddisfatto di lasciare, malgrado le ingenti spese sostenute, un attivo di 3.218 lire, dovuto ai contributi offerti dai componenti la Giunta camerale che avevano provveduto a farsi carico dei costi, ottenendo che “la Camera di Reggio fosse fra le prime nuove Camere a costituirsi ed operare”.
La legge di istituzione delle Camere di Commercio attribuiva al nuovo Ente una duplice funzione: farsi promotore, presso il Governo centrale, di provvedimenti finalizzati a rimuovere gli ostacoli al miglior andamento dell'economia, e ritrovare quei mezzi che ne aiutavano lo svolgimento, insistendo perché venissero posti in atto.
Queste sono le premesse da cui la Camera di Reggio Calabria muove i primi passi, che si traducono, in pratica, in numerosi atti concreti a favore dello sviluppo della città e dell'intera provincia.
Sin dall'inizio la storia della Camera si intreccia inevitabilmente con la storia della città e della provincia, ed è una storia di mutamenti e di sviluppo, in uno scambio osmotico e continuo a favore del progresso. Una chiara testimonianza è data dalla decisa azione profusa a favore della realizzazione di opere pubbliche ritenute vitali per il potenziamento della vita economica e commerciale, come la Stazione ferroviaria ed il Porto.
Dal discorso del presidente Rognetta apprendiamo che “erasi disposto che la stazione ferroviaria della nostra città fosse piantata aldilà del Calopinace. La Camera è stata sollecita nel rassegnare al Governo che la scelta di quel sito avrebbe costretto i trafficanti a trasportare dallo sbarcatoio ad un kilometro e mezzo lungi dalla città i generi d'imbarco per ritrovare i vagoni della ferrovia: al che si ovvierebbe collocando la stazione al di qua del Calopinace, e proprio al termine della parte sud della città”.
Le richieste ed i suggerimenti avanzati dalla Camera venivano tenuti in seria considerazione dal Ministro, come anche le indicazioni circa i vantaggi provenienti dalla realizzazione delle due tratte ferrate, ionica e tirrenica: “Quella dello Jonio […] era di più facile attuazione per le spianate difficoltà e perché univa a noi contrade che potremmo dire quasi divise, pure scorgeva, come scorge tuttavia, tutto l'interesse in quella del Tirreno; la quale linea sarà ancora attuata perché la più breve, la più diretta per il passaggio della valigia delle Indie oltre all'inapprezzabile vantaggio che qui ridonderà all'apertura non lontana del Canale di Suez”.
La Camera interveniva con decisione sulle grandi questioni relative al progresso della città, e lo faceva con argomentazioni che scaturivano dalla conoscenza diretta delle problematiche dell'epoca, connesse al commercio, all'industria ed agli scambi da intrattenere con altri paesi.
Con attenzione profonda si affrontava il “subbietto massimo delle incessanti cure e meditazioni della Camera”: la costruzione del Porto, “opera di cui non vi ha tra noi chi non comprenda la somma rilevanza, e per la quale sa bene il Governo ed il nostro stesso Municipio se nei due primi anni di sua vita non abbia nulla dal suo canto la nostra Camera omesso d'intentato”.
Così la Camera si poneva come deciso interlocutore e portavoce delle categorie commerciali, artigianali ed industriali della provincia reggina, fungendo da collante tra il mondo produttivo ed il Governo. Il presidente Rognetta era estremamente chiaro in proposito: “Noi abbiamo mandato al Governo i quadri della importazione ed esportazione annuale dei generi e delle merci di tutta la provincia, interessante e difficile lavoro che la zelante ed esperta Commissione della Camera ha compilato con la maggior possibile precisione. Abbiamo incuorato il Municipio ad intraprenderne i lavori, e dimostrato che unica via per passare dai voti al fatto è quella di mettersi dal Municipio mano all'opera, e far concorrere poscia come ausiliario il Governo, la Provincia e la Camera”.
Permettere alla città di Reggio di aprirsi al trasporto commerciale via mare costituiva una necessità ormai improrogabile, ed il Presidente Rognetta lo sottolineava con particolare enfasi: “Questa opera che rinnovellerà il nostro commercio […] richiede molta forza di patriottismo e indomabile costanza, per superare gli ostacoli occulti e palesi che l'attraversano”.
Il contesto di riferimento era chiaro, e la Camera evidenziava i motivi che la creazione del terminale marittimo avrebbe portato vantaggi inestimabili all'economia reggini, e conseguentemente alla ricchezza della provincia. “L'approdo dei vapori commerciali prima a Messina e un giorno dopo a Reggio era un pregiudizio del nostro commercio – affermava Rognetta – perché lo privava per almeno 24 ore delle sue corrispondenze. Di quanta importanza ciò sia non è d'uopo mostrarlo. Ma le ragionevoli istanze della Camera presso il Governo sortirono il desiderato effetto”.
Non vi acchetate, - concludeva con una appassionata esortazione il Presidente - ognora segga in cima ai vostri pensieri, sia con ogni affetto promossa la costruzione del porto!”.
Si ponevano così le premesse concrete per la risoluzione di una questione annosa: già da tempo, infatti, gli abitanti di Reggio erano stati criticati per la poca o nessuna attenzione posta al problema del mare e dei suoi traffici, a differenza di centri minori come Scilla e Bagnara dotati di “ottima marineria”.
Tra le incombenze affrontate nei primi due anni di attività della Camera di Commercio ed Arti di Reggio Calabria figuravano le problematiche connesse al dazio.
In particolare, si auspicava che fosse mantenuta l'esenzione dal dazio d'immissione in Francia, per favorire l'esportazione dei migliori prodotti calabresi, come olio, essenze, concentrati d'agrumi ed altri articoli già liberati dal dazio in Inghilterra.
E' particolarmente interessante osservare quanta rilevanza avesse il grado di inserimento nel mercato internazionale dei produttori locali, ma anche quanto la Camera, già nei primi anni della sua attività, espletasse doverosamente le sue funzioni di controllo e tutela del commercio e delle arti, ottenendo dal Governo la risoluzione di questioni legate al sistema produttivo ed all'import-export.
Lo spirito propositivo della Camera emergeva in attività di vario genere, finalizzate ad incidere in maniera diretta sul territorio: la compilazione di puntuali relazioni sulle condizioni economiche, agricole, commerciali ed industriali della provincia; la riapertura della Scuola Nautica, sospesa da quattro anni e realizzata in collaborazione
con il Municipio e la Provincia; la richiesta al Governo di importare i bachi da seta dal Giappone per compensare gli allevamenti colpiti dall'epizoozia; la sperimentazione di nuove coltivazioni come quella del cotone; l'avvio delle prime iniziative editoriali e la pubblicazione degli atti della Camera; la promozione dell'istruzione artistica, tecnica e professionale.
Le attività editoriali della Camera divennero un importante strumento per divulgarne gli orientamenti ed incentivare lo spirito di corpo, attraverso la diffusione di notizie ed aggiornamenti relativi all'evolversi del mercato, alle tasse, ai diritti degli esercenti, a nuove problematiche come il credito. Proprio in quegli anni, infatti, si iniziava a discutere dell'istituzione di una Cassa di Risparmio a Reggio Calabria.
A proposito della elaborazione di statistiche e banche dati, è doveroso ribadire come la Camera, con la sua alacre attività documentaristica, abbia contribuito a registrare puntualmente l'andamento economico della provincia reggina, con le sue accelerazioni ed i rallentamenti, fornendo importanti dati di analisi.
Dai verbali vergati negli anni emergono in successione ininterrotta le notizie delle attività intraprese, delle vicende amministrative, delle battaglie sostenute, dei problemi che le categorie produttive fronteggiavano con il contributo determinante dell'organismo camerale. Vi troviamo una lente d'ingrandimento attraverso cui risulta più agevole leggere gli avvenimenti rilevanti della vita cittadina e del territorio provinciale, la crescita delle infrastrutture ed il progresso delle “arti e dei mestieri”.
In tal senso, il primo grande merito della Camera di Commercio di Reggio Calabria è stato proprio l'aver contribuito a fare uscire la provincia dall'isolamento, ponendola a confronto con le altre realtà provinciali e con i mercati esteri.

1865 - 1908 L'economia della provincia di Reggio Calabria e l'attività della Camera di Commercio

Gli annali della Camera di Commercio di Reggio Calabria possono essere considerati una sorta di cronistoria attraverso i quali è possibile leggere l'evoluzione, i passaggi fondamentali, le dinamiche che, negli anni, hanno determinato l'andamento economico dell'intera provincia.
L'analisi delle trasformazioni istituzionali della Camera di Commercio, attuate in centoquaranta anni, costituisce un'ulteriore chiave di lettura delle tappe più significative che hanno segnato la costruzione del nostro sistema economico.
Con l'istituzione dello Stato Unitario, mutavano gli orizzonti delle realtà periferiche, che dovevano confrontarsi con il contesto nazionale. Fu in questo ambito che la Camera di Commercio di Reggio Calabria, sebbene di recente istituzione, giocò un ruolo di primo piano: fu una delle prime a confluire, ad esempio, nella Unione Italiana delle Camere di Commercio, contribuendo così a far uscire dall'isolamento la realtà economica reggina, proiettandola nei dibattiti politici ed istituzionali del Paese.
Dopo l'entrata in vigore della legge n.680 del 1862, che aveva definito il quadro normativo per il riordino degli istituti economici di antica tradizione, si era avviato un lungo dibattito sulle attribuzioni giuridiche ed amministrative delle Camere, sui ruoli ed i rapporti da intrattenere con gli altri enti.
La Camera reggina intervenne in maniera forte nella querelle che mirava a definire gli ambiti di applicazione delle norme, resi ambigui dagli ampi margini che differenti interpretazioni e la scarsa volontà o capacità di farle rispettare generavano.
E fu ancora l'Ente a mettere in luce tale controversia, richiamandosi alle proposte dei Congressi, in occasione dell'inchiesta del 1873:

“primieramente pare a questa Camera che le relazioni tra le Rappresentanze commerciali e le varie Amministrazioni dello Stato sieno dalla legge stabilite in modo assai vago e indeterminato. Di fatto è stabilito che le Camere potranno proporre al Governo quei provvedimenti che crederanno opportuni al traffico, e dovranno rispondere all'Autorità Governativa, quante volte fossero richieste dal parere e di informazioni speciali. Ma è fuori di dubbio che oltre a queste proposte ed informazioni di interesse generale le quali sprecano l'operosità della Camera spesso in teoriche, od in vane aspirazioni vi sono molti casi in cui la Camera potrebbe efficacemente intervenire in aiuto al commercio locale, ed in rapporto con l'autorità Gabellaria, colle Amministrazioni Provinciali e Municipali. A quest'ultima è fatto un dovere dall'art. 11 della legge 11 agosto 1870 d'interpellare le Camere sulle tariffe del dazio di consumo. Ma è chiaro che l'interesse maggiore è dei commercianti non del Municipio e quindi è piuttosto da fare dell'esame di dette tariffe una facoltà delle Camere anziché un dovere eventuale delle Rappresentanze Comunali. Allargare eziandio la giurisdizione delle Camere sopra alcuni argomenti che sono di competenza dell'autorità gabellaria sarebbe dare a quelle i mezzi di esercitare in modo effettivo quella tutela nel commercio e l'industria che oggi è per le Camere un titolo piuttosto che un'attribuzione reale”.

Fino agli ultimi anni Settanta rimarranno alle Camere vasti margini di autonomia operativa, dando una preminente attenzione ai problemi del commercio con un particolare riferimento alle derrate agricole ed allo sviluppo infrastrutturale.
Sul fronte locale, la Camera si trovava a dover affrontare le problematiche complesse di un'economia in forte difficoltà tra congiunture negative legate a settori in crisi, come la bachicoltura, ed una pressione fiscale che rischiava di far collassare il sistema.
La seconda metà dell'Ottocento fu caratterizzata da un periodo di forte crisi in alcuni comparti dell'economia reggina. Uno dei settori più forti nella Provincia di Reggio Calabria, la gelsicoltura, aveva subito una battuta d'arresto a causa di una malattia che aveva decimato gli allevamenti del baco da seta, la pebrina. Negli anni 1859-63 questa situazione aveva portato alla distruzione di gran parte delle piante di gelso. Di contro, si era aperto un periodo di apprezzabile crescita della produzione agricola e dell'esportazione, attraverso un ampliamento delle aree produttive destinate ad oliveto, vigneto e, in particolar modo, agrumeto.
Tale sviluppo avvenne anche grazie all'apertura degli sportelli di alcuni istituti di credito nazionali, che, dopo l'Unità, guardavano ai nuovi possibili mercati. Nel 1863, intervenendo soprattutto a favore dei commercianti, la Banca Nazionale si insediava in città, e, successivamente, il Banco di Napoli, che, operando prettamente nel Mezzogiorno, conosceva meglio le problematiche dell'economia meridionale.
Si avviò così un periodo di espansione economica, in cui molti proprietari contraevano prestiti ad interesse per trasformare le terre in piantagioni arboree, stimolati dalla continua crescita della domanda di derrate agricole. Le banche finanziavano tali operazioni attraverso l'erogazione di mutui garantiti da ipoteche sulle terre, una formula di credito utilizzata soprattutto nel primo ventennio dopo l'Unità. Le coltivazioni più diffuse erano la vite, l'ulivo ed il bergamotto che, sul mercato internazionale, non aveva alcuna concorrenza. Anche la produzione di vino poneva la Calabria fra le regioni italiane più sviluppate: il circondario di Palmi era il più ricco di viti, ma importanti erano anche le produzioni di Reggio, Ardore, Siderno.
Accanto alla vite, la coltivazione più tipica della provincia era quella di bergamotto, diffusasi enormemente sul territorio fra il XVIII ed il XIX secolo, rispetto alla quale Reggio deteneva il monopolio naturale. In quel periodo le piantagioni di bergamotto divennero quasi un'ossessione per i reggini: si distruggevano vigneti, gelseti ed oliveti per piantare alberi di bergamotto, soprattutto in virtù dei profitti derivanti dall'estrazione e dalla commercializzazione delle essenze.
Fino al 1850 la coltura era concentrata nelle zone limitrofe alla città. Nel 1875 si estendeva fino a Melito Porto Salvo, lungo il versante Jonico, e pochi anni dopo, fino a Palizzi.
Ampia traccia di questa corsa alla “riconversione” delle piantagioni risulta dalle relazioni della Camera di Commercio di Reggio di qualche decennio dopo: “L'industria delle essenze di agrumi ha assorbito in questa provincia capitali ingenti. Quando l'essenza di bergamotto si pagava a Londra ed a Parigi 65 e talvolta più di 70 lire il chilogrammo, si profusero milioni per trasformare in quella coltura tutti gli appezzamenti che ancora restavano vuoti. Sui clivi delle vallate a cominciare dalle scaturigini dei nostri torrenti, da Scilla a Palizzi, furono fatte colmate, costruiti terrapieni, mura di sostegno, grosse arginature…”.
In effetti, la produzione dei bergamotti costituiva il trentacinque per cento della produzione totale di agrumi nella provincia e il cinquantotto per cento di quella del circondario urbano.
Il terreno destinato alla coltivazione del bergamotto era diviso, prevalentemente, in piccoli appezzamenti, detti “giardini”, a conduzione diretta, in colonia o affitto.
Negli stessi terreni, venivano affiancate le colture di ortaggi, cosicché il colono aveva l'opportunità di ricavare altri utili dalla produzione di ortaggi, ma, al tempo stesso, il prezioso frutto godeva di una maggiore cura.
La scarsa concentrazione della proprietà e la polverizzazione dei possessi medi, se da un lato garantivano un più accentrato controllo su braccianti e coloni, dall'altro impedivano la formazione di grandi latifondi.
Infatti, nella provincia di Reggio Calabria il latifondo non esisteva, se non nelle zone boschive interne. La strutturazione per piccoli e medi possedimenti terrieri determinava una grande differenziazione nelle coltivazioni, sebbene ampie zone geografiche venivano ben definite dalla prevalenza di certe piantagioni, che le caratterizzavano. In tal senso, la provincia di Reggio Calabria era suddivisa in cinque aree tipiche: uliveti; agrumeti; sulla e biade; boschi cedui; alberi d'alto fusto marittimi e montani.
L'area degli uliveti occupava la piana di Palmi e parte della zona pedemontana circostante.
Lungo le sponde dei torrenti era fiorente la coltivazione degli agrumi, mentre i boschi di uliveti selvatici erano interrotti dai vigneti di Rosarno e di Gioia, oltre che
da ampie zone incolte.
La “regione degli agrumi” si snodava lungo la costa, nel tratto compreso tra Villa San Giovanni e Pellaro, e risaliva lungo i torrenti fino a quelle altimetrie che permettevano lo sviluppo di queste piantagioni, in particolar modo del bergamotto.
Il gelso era coltivato prevalentemente in territori pianeggianti e la vite nelle zone collinari. La Locride era una delle aree in cui tali colture erano più produttive.
La “regione della sulla” coincideva con i terreni non coltivati, in genere litoranei, dove questa specie cresceva spontaneamente.
Sul versante jonico, soprattutto a Caulonia e Gioiosa, intensamente sviluppate erano le coltivazioni di agrumi, soprattutto in prossimità dei torrenti da cui si attingevano le acque utili per l'irrigazione.
Sul versante tirrenico, le zone di Palmi, S. Eufemia, Solano, Bagnara e Scilla erano ricche di boschi cedui alternati a querce e faggi. La regione dei boschi montuosi, con abeti, pini e faggi di alto fusto, era rappresentata, ovviamente, dall'area aspromontana, cui si aggiungevano, nelle zone di Rosarno e Palmi, boschi marittimi, peraltro in via di estinzione a causa di un intenso sfruttamento.
Ma se fino al 1880 l'agricoltura calabrese visse, per molti versi, una felice fase di espansione, il quindicennio successivo sarebbe divenuto il più triste. Una serie di fattori negativi investirono le coltivazioni: la filossera aveva distrutto i vigneti, la mosca olearia aveva decimato la produzione di olio. Intanto la concorrenza internazionale aveva fatto abbassare i prezzi di tutte le produzioni abitualmente destinate ai mercati esteri.
Questi elementi si andavano ad unire a debolezze strutturali preesistenti, come la mancanza di capitali da investire, la carenza di istruzione dei contadini, il disastro idrogeologico, che si manifestava soprattutto con le frequenti alluvioni.
Iniziava a serpeggiare un diffuso malcontento che non risparmiava neanche il proprietario fondiario, gravato da un eccezionale carico tributario e da un crescente debito ipotecario, penalizzato peraltro dalle anomalie di un sistema creditizio già allora poco attento alle esigenze del Mezzogiorno.
Gli atti della Camera di Commercio di Reggio Calabria mettevano in evidenza come il problema più sentito fosse l'eccessiva pressione fiscale. Ovviamente, la Camera di Commercio, dando voce ai proprietari terrieri ed ai commercianti, che, a quel tempo, costituivano la parte più rappresentata, attribuiva a questa argomentazione un peso rilevante nelle sue corrispondenze con il Ministero dell'Industria e del Commercio.
Il principale sostenitore di questa battaglia fu il Segretario Generale della Camera di Commercio del tempo, il professore Domenico Carbone Grio. Egli stesso curò la stesura della maggior parte delle relazioni inviate al Ministero tra il 1880 e il 1908.
Il disagio dei proprietari era reale, come dimostrano i dati che si riferiscono a quegli anni. Nel 1886 il Parlamento approvò una nuova legge per il riordino dell'imposta fondiaria. La Camera di Reggio era fortemente critica e si era opposta con decisione.
Infatti, la tassazione veniva commisurata non solo all'estensione del terreno, ma anche in funzione del tipo di coltivazione, aumentando o diminuendo in base alla produttività riconosciuta, a priori e per legge, alle coltivazioni. Questa formulazione danneggiava soprattutto province come quella reggina, dove agrumeti, gelseti, oliveti avevano in passato dato rendite eccezionali, ma che ormai erano in una crisi conclamata, dovuta alla concorrenza di paesi come Spagna e Grecia e, per gli agrumi, California e Florida.
Proprio tale concorrenza spingeva enormemente verso il basso il prezzo delle merci e determinava improvvise oscillazioni del mercato; di contro le coltivazioni di agrumi ed ulivi richiedevano ingenti investimenti che non erano più, assolutamente, remunerativi.
La nuova imposta, pertanto, unita alla fluttuazione della domanda, al costo dei capitali a prestito, alle difficoltà del mercato, finiva per danneggiare l'agricoltura meridionale, a vantaggio dei produttori del Centro e Nord Italia. Un'approfondita analisi della Camera di Commercio reggina dimostrava come le coltivazioni intensive fossero quelle maggiormente penalizzate dall'imposta, mentre risultavano meno gravati i terreni nudi o a coltura estensiva. Peraltro, l'obiettivo della norma era chiaramente indirizzato a limitare l'evasione fiscale nel Mezzogiorno, ma finiva per infliggere un duro colpo alle coltivazioni della provincia reggina, proprio perché intensive e, dunque penalizzate da costi troppo elevati per poter reggere sul mercato interno ed internazionale.
Secondo la Camera di Commercio l'imposizione fiscale sulla proprietà terriera era ulteriormente acuita dalle sovraimposte, provinciali e comunali, applicate sull'ammontare dell'imposta erariale.
Un indicatore delle difficoltà dei proprietari terrieri era dato dall'elevato livello del debito ipotecario nella provincia.
Le aspettative che il governo potesse intervenire al più presto per agevolare il credito non si mutarono in realtà. Di conseguenza, i produttori si videro costretti a vendere i propri prodotti a prezzi stracciati pur di avere subito denaro circolante, innescando un pericolosissimo vortice il cui risultato fu quello di far crollare i prezzi.
Fortemente connesso all'indebitamento dei proprietari terrieri era il problema del credito agricolo, amplificato dalla mancanza di qualsiasi forma di aggregazione consociativa: in quegli anni non esisteva alcuna associazione di mutuo soccorso, anzi si operava nel più assoluto isolamento. Il continuo calo dei prezzi e le crisi di mercato capovolsero totalmente la convenienza economica dei mutui, un sistema comunque surrettizio di finanziamento che, dopo l'Unità, aveva dato la possibilità a molti proprietari terrieri di avviare un'attività agricola.
La Camera di Commercio si fece interprete di queste gravi difficoltà, denunciando i limiti delle Banche cooperative e popolari che, non avendo avuto uno sviluppo ed una presenza capillare sul territorio, non potevano rispondere adeguatamente alla richiesta di credito presente in tutta la provincia.
La riforma del Credito Agrario nel Mezzogiorno sarebbe arrivata solo nel 1901, ma il basso livello d'istruzione dei contadini e le garanzie richieste dal proprietario per la concessione del prestito avrebbero fatto, in buona parte, fallire l'iniziativa.
Alla luce di questi elementi, si comprendono facilmente le cause che stavano alla base del clima travagliato di quegli anni.
Tra l'altro, la crisi iniziata negli anni Ottanta aveva fortemente penalizzato il sistema produttivo fondato sulla proprietà terriera: la mancanza di capitali, e la difficoltà di accesso al credito, avevano tagliato fuori dal mercato i piccoli produttori, soffocati dalle tasse.
La redistribuzione della proprietà, avvenuta in seguito all'attuazione di leggi postunitarie non aveva sortito gli effetti sperati: spesso le terre assegnate erano situate in isolate zone montane, per cui chi non era riuscito ad affittarle le aveva vendute.
Peraltro, nell'ultimo ventennio del secolo la Camera di Commercio aveva lamentato più volte la carenza di case coloniche nella provincia. I contadini, infatti, avendo abitazioni lontane dalle terre non si legavano alla loro attività, con il risultato di abbandonare le colture o di sfruttarle in minima parte. La scarsa produzione di cereali, che venivano importati dalla Puglia, dalla Dalmazia e dalla Russia, ne era una evidente conseguenza.
Inoltre, la mancanza di manodopera e di capitali nella provincia non permetteva lo sviluppo di coltivazioni estensive. A questo si aggiungeva l'arretratezza degli strumenti utilizzati: le macchine agrarie non erano diffuse quasi per nulla, e la maggior parte dei contadini usava l'aratro o la semplice zappa. Le malattie delle piante, infine, non erano sufficientemente conosciute e quindi mal curate: ulivi, vigne e gelsi morivano, anno dopo anno, senza che nessun rimedio efficace fosse sperimentato.
La Camera di Commercio sosteneva che le cooperative di produzione avrebbero potuto dare maggiore forza ai produttori, ma la proprietà collettiva rimaneva ancora lontana dalla mentalità dei contadini reggini, i quali gestivano le terre dei proprietari mediante forme di gestione che non permettevano alcun genere di emancipazione (affitto, enfiteusi, mezzadria e masseria).
La Camera di Commercio giocò un ruolo di primo piano per uno dei settori più forti dell'economia agricola reggina di fine Ottocento: l'olivicoltura.
Fino al 1890 questa coltura, diffusa dalla costa fino ai crinali aspromontani, era trattata come una coltivazione boschiva. Negli atti della Camera si legge che gli olivicoltori pensavano che le piante producessero un maggior numero di frutti in funzione delle lunghezza dei rami. Questo pregiudizio aveva limitato interventi di potatura, necessari a rinnovare le piante per farle fruttare. Più volte la Camera di Commercio realizzò interventi di tipo formativo presso gli agricoltori della Piana di Gioia Tauro, per diffondere una moderna istruzione circa le tecniche per abbassare e ringiovanire le chiome degli alberi. Solo verso la fine del secolo iniziarono a diffondersi le giuste prassi per migliorare le coltivazioni, come potature ed innesti.
Anche i metodi di raccolta erano antiquati ed influivano negativamente sulla qualità dell'olio: il frutto veniva raccolto a terra, soprattutto nella zona tirrenica, dove le olive non potevano essere colte sull'albero né “abbacchiate” per l'eccessiva altezza delle piante, con la conseguenza che le olive, spesso, si guastavano sul terreno umido, peggiorando la qualità del prodotto.
Fra il 1880 ed il 1895 si verificò un fenomeno insolito, la caduta “contemporanea” delle olive, che ebbe delle conseguenze disastrose. Il raccolto fu estremamente difficoltoso per la mancanza di attrezzature adeguate e la manodopera limitata, cosicché la maggior parte dei frutti divenne inutilizzabile, con un danno di sei milioni di lire: una cifra enorme per quei tempi.
Tale congiuntura decretò la rovina di molti proprietari. Ma il problema di fondo rimaneva la qualità e la commercializzazione degli oli: la Camera di Commercio di Reggio affiancava i produttori soprattutto indicando le metodologie per migliorare qualitativamente l'olio d'oliva e per renderlo competitivo sul mercato. La difficoltà di commercializzazione costituiva il problema più grande per questo settore.
La fase di forte espansione vissuta tra il 1850 ed il 1880 dalle esportazioni di olio venne ribaltata nel ventennio successivo.
La Camera di Commercio, nel tentativo di porre riparo alla situazione, individuava i vari fattori responsabili della crisi: la scarsa qualità degli oli, la concorrenza delle produzioni spagnole e greche, l'apparizione delle prime miscele di olio di semi smerciate per oli puri ed infine il ruolo determinante del porto di Messina che, dal 1880 in poi, diveniva punto di snodo fondamentale per la commercializzazione dei prodotti provenienti dalla Piana.
L'ente camerale cercava di difendere gli interessi dei produttori reggini, sostenendone le ragioni presso il Ministero, chiedendo una tutela per l'olio d'oliva nazionale nei confronti di quello straniero o, ancora peggio, di quelli non puri.
Intanto la crisi aveva messo in ginocchio il comparto olivicolo reggino, mentre le case commerciali pugliesi e liguri speculavano sulla compravendita delle olive calabresi.
La crisi del 1880 non risparmiò neanche un'altra preziosa coltivazione dell'economia reggina: gli agrumi.
Nella provincia di Reggio prevaleva la produzione di arancia dolce e bergamotto, minore era quella dei limoni.
Gli agrumeti erano impiantati lungo i greti dei torrenti, nelle vallate, e, trattandosi di colture intensive richiedevano ingenti spese per la manutenzione e l'irrigazione.
Quando non era il proprietario ad occuparsi della coltivazione, si adoperavano forme contrattuali come il salario o il fitto a beneficio.
Negli atti della Camera di Commercio si delineavano i benefici che la stipula di tali contratti aveva portato a tutto il sistema, permettendo il coinvolgimento di forzalavoro proveniente dalle varie classi sociali e favorendo la cooperazione a diversi livelli.
La coltura di agrumi fu dunque per molto tempo la fonte più cospicua di reddito per l'economia della provincia, di conseguenza la crisi agrumaria rappresentava un duro colpo non solo per i proprietari terrieri, ma per tutto il comparto agricolo.
Il crollo fu determinato soprattutto dalle politiche particolarmente aggressive attuate dalla concorrenza e dal conseguente crollo della domanda da parte dei principali acquirenti di agrumi calabresi e siciliani: il mercato americano in prima linea.
Negli ultimi anni dell'Ottocento si arrivò al collasso dell'esportazione.
La Camera di Commercio invitava i produttori a cercare nuovi acquirenti, ad aprire nuovi mercati per smaltire i prodotti, ed a migliorare le tecniche di conservazione per evitare che il trasporto rovinasse gli agrumi. I tempi di spedizione, causati dai lunghi viaggi di trasporto a bordo di piroscafi dal porto di Messina fino nelle Americhe, costituivano un altro gravoso problema.
A sostegno dei produttori, la Camera sosteneva l'importanza di usare il mezzo ferroviario per arrivare sui mercati europei, suggerendo la spedizione di piccoli quantitativi di merce. Questo sistema, da una parte permetteva di evitare le spese di “incassettamento” degli agrumi, necessarie per preservare il prodotto nei lunghi trasporti via mare, dall'altra faceva però lievitare i costi a causa delle alte tariffe ferroviarie che incidevano al punto di raddoppiare il costo degli agrumi ogni mille chilometri. Solo dopo lunghe trattative con la Società ferroviaria e con il Consiglio delle Tariffe, giunsero importanti risultati, con la concessione della “tariffa speciale” richiesta.
Grazie ad essa si aprivano nuovi orizzonti commerciali potendo finalmente intensificare le esportazioni di agrumi reggini sul mercato interno e verso l'Europa Centrale.
Ma un altro importantissimo risultato era scaturito: l'opportunità di svincolarsi dall'approdo commerciale di Messina.
Proprio questa dipendenza dal porto e dalle case commerciali messinesi era considerata dalla Camera di Commercio reggina come il fattore scatenante della crisi. In sostanza, i produttori reggini erano costretti a raccogliere i frutti solo dopo le richieste di intermediari siciliani, o addirittura a spedire la merce in conto vendita, senza che vi fosse un acquirente già determinato. Arrivati sulla piazza di Messina, gli agrumi dovevano essere venduti per non andare a male, per cui il prezzo veniva necessariamente, e si potrebbe dire furbescamente, svalutato, con grave danno per l'economia reggina.
In questo contesto si inseriva l'annosa questione della realizzazione del Porto a Reggio Calabria. Era proprio la Camera di Commercio ad avviare la trattativa, consapevole dei grandi vantaggi che uno scalo marittimo avrebbe portato alla città.
Il porto di Messina aveva conquistato un ruolo di primo piano nel commercio internazionale, creando notevoli ricadute sull'economia e lo sviluppo della città. In virtù della sua posizione dominante nel Mediterraneo, aveva ricevuto grandi privilegi in epoca spagnola. In seguito, con il boom delle esportazioni, i mercanti messinesi avevano costruito un sistema creditizio particolarmente sofisticato, basato sugli anticipi dei capitali, che garantiva a Messina questa funzione di assoluto rilievo.
Ma la Camera di Commercio reggina aveva fondate ragioni per invocare a gran forza la realizzazione del Porto a Reggio. Dalle relazioni camerali dei primi anni Novanta si evince come tale questione occupasse il primo posto nelle preoccupazioni dell'Ente, impegnato ad intessere una serie di relazioni con Provincia, Municipio e Governo per giungere ad una rapida soluzione.
Anche tra i commercianti era divenuto chiaro che la creazione del Porto avrebbe dato nuovi ed indiscutibili impulsi ad un'economia che altrimenti sarebbe rimasta in una fase di stallo. E' vero che l'utilizzo della ferrovia per il trasporto degli agrumi iniziava ad intensificarsi negli anni Novanta: le stazioni di Gallico e Catona, per la loro posizione prossima ai vastissimi agrumeti, diventavano uno snodo privilegiato; la tariffa speciale sui trasporti aveva ridato fiato al commercio degli agrumi, con picchi molto alti nel 1894, grazie anche alla crisi produttiva che aveva colpito i paesi d'oltreoceano.
Sul finire degli anni Ottanta, inoltre, si erano stipulati nuovi accordi con la Francia, l'Austria-Ungheria, la Svizzera: il traffico degli agrumi iniziava a spostarsi dall'America verso il centro-Europa, con spedizioni su treni merci. Il completamento della tratta ferroviaria Reggio-Battipaglia rendeva più rapidi i trasporti ferroviari e quindi più convenienti.
Ma la parentesi si sarebbe chiusa in breve tempo: la legge protezionista ed il dazio altissimo di entrata dei prodotti agrumicoli in America faceva ripiombare nella crisi i produttori reggini.
Ancora una volta, la Camera interveniva per chiedere una nuova tariffa speciale d'esportazione ed individuava con lucidità le cause della recessione: il calo del prezzo degli agrumi era strettamente collegato ad una politica commerciale particolarmente penalizzante che veniva attuata dalle case d'esportazione siciliane. Il grosso problema dell'isolamento dei produttori reggini persisteva.
Per risolvere definitivamente l'impasse, sosteneva con vigore la Camera di Commercio reggina, bisognava affrancare i produttori calabresi dal sistema creato dagli importatori americani con la complicità delle case siciliane. Questi facevano arrivare grossi carichi di merci in America con l'offerta di alti prezzi; una volta giunta a destinazione la merce, i prezzi “improvvisamente” crollavano. Questa spregiudicatezza veniva denunciata con decisione dalla Camera di Commercio, che lamentava la totale mancanza di tutela dei produttori reggini, ma soltanto agli inizi del Novecento, con le facilitazioni sulle tariffe ferroviarie e le riduzioni del dazio di consumo, la situazione si sarebbe indirizzata verso l'auspicata schiarita. Peraltro, la Camera di Commercio individuava nella disorganizzazione e nell'individualismo le maggiori cause di debolezza dei produttori reggini, e li invitava a consorziarsi, inviando i propri agenti sui mercati esteri. Solo così facendo l'agrumicoltura della provincia di Reggio Calabria avrebbe potuto tradurre in realtà il suo grande potenziale di ricchezza.
Le preoccupazioni della Camera di Commercio riguardavano l'intero settore agrumicolo, e, chiaramente, anche il mercato delle essenze, che, oltre ai fattori di crisi sopra illustrati, presentava altre insidie commerciali, in particolare, da un lato, la concorrenza delle miscele, derivate dalla combinazione di più agrumi, e delle produzioni sintetiche artificiali, dall'altro, le strategie commerciali degli intermediari che tendevano a spingere il prezzo del prodotto verso il basso.
La Camera di Commercio tendeva, peraltro, a porsi in maniera innovativa, proponendo iniziative mirate, come la propaganda all'estero della purezza dell'essenza prodotta a Reggio Calabria rispetto alle sofisticazioni circolanti sul mercato, più economiche dell'essenza pura e favorite dalla mancanza di controlli adeguati contro le contraffazioni. Solo così si sarebbero potute affermare le marche calabresi piuttosto che quelle già accreditate all'estero, quasi tutte siciliane.
Solo nel 1897 veniva pubblicata una legge contro la sofisticazione, che tacitamente legittimava la miscelazione di essenze naturali, ancorché derivate da agrumi diversi, purché non si trattasse di sostanze artificiali. L'essenza di bergamotto veniva quindi “diluita”, ad esempio, con essenza di limone, favorendo i commercianti siciliani a danno di quelli reggini, unici produttori di essenza pura di bergamotto. Nel 1894 nasceva il bergamiol, la sostanza artificiale introdotta sul mercato dall'industria chimica Schimmel di Lipsia che poteva sostituire l'uso dell'essenza naturale di bergamotto nella produzione di profumi: era la stoccata più pesante per i produttori di essenza di bergamotto.
Gli anni dal 1901 al 1904 registravano una certa stabilità di mercato per le aziende calabresi del settore, favoriti dalla grave crisi che aveva investito il settore dei limoni
siciliani, a causa dell'eccessiva produzione che aveva fatto crollare i prezzi.
Per far fronte ai problemi della commercializzazione, nascevano a Reggio Calabria, nel 1907, i Magazzini Generali della società “La Zagara”. La Camera di Commercio insisteva sulla funzione della propaganda, ed in particolare sulla necessità di far comprendere lo scopo dell'istituzione dei magazzini: commercializzare il prodotto al momento opportuno per evitare di subire pericolose ed artificiose cadute di valore e, al tempo stesso, spezzare il rapporto di dipendenza da intermediari e speculatori. Nello stesso anno, infine, giungeva l'atto più atteso: il primo contributo municipale per l'istituzione a Reggio Calabria di un laboratorio chimico per l'analisi delle essenze. La città si dotava, finalmente, di strutture moderne per innovare una produzione ancorata a tecniche e procedimenti ormai superati.
L'intervento pubblico, accanto all'iniziativa privata, costituiva il riconoscimento del ruolo trainante che l'essenza di bergamotto aveva per l'economia provinciale. E ciò è ulteriormente attestato dai dati relativi agli anni successivi, durante i quali la coltivazione di bergamotto e la produzione di essenza nel comprensorio di Reggio Calabria avrebbero continuato a crescere, attestandosi tra le colture più redditizie di tutto il Meridione.
Un processo di lavorazione complementare all'estrazione delle essenze dagli agrumi era l'“agrocotto”, un prodotto ricavato dall'ebollizione del succo residuale degli agrumi dopo l'estrazione dell'essenza. L'acido concentrato veniva conservato in botti di cerro ed esportato negli Stati Uniti e in Russia per la produzione di acido citrico.
Anche in questo caso la produzione avveniva nella provincia di Reggio Calabria per poi finire sui banchi di spedizione messinesi.
Nei primi anni Novanta esistevano, solo nel comune di Reggio, undici piccole fabbriche di “agrocotto”. La Camera di Commercio valutava molto positivamente questo genere di industria, ma evidenziava che sarebbero serviti ingenti capitali per modernizzare le tecniche di lavorazione ed aumentare la competitività di questo settore, soprattutto rispetto ai concorrenti siciliani.
La recessione, insomma, non risparmiava nessun comparto dell'economia provinciale, cosicché molti commentatori dell'epoca giunsero a rivalutare il periodo precedente.
Anche il settore viti-vinicolo dopo una fase di forte espansione, doveva fare i conti con la crisi del comparto agricolo. “Nessun'altra coltura - scriveva nel 1893 la Camera di Commercio – ha forse subito tante modificazioni presso di noi quanto la vigna. Successo un periodo di favore a quello di consueto rendimento, la vigna si estese in queste contrade quasi al paragone dell'ulivo e degli agrumi”. Ma già nell'ultimo ventennio dell'Ottocento anche questa tendenza positiva subiva una battuta d'arresto, a causa dell'invasione della filossera, una malattia della vite che avrebbe causato un perdurante crollo della produzione fino ai primi anni del Novecento.
In seguito alla distruzione determinata dalla filossera, i contadini decidevano di reinvestire nei vigneti: nel 1893 si contavano diciottomila ettari di terreno coltivato a vite: erano state introdotte piantagioni più moderne e si era investito nell'acquisto di macchinari, soprattutto nelle zone di Palmi, Gioia Tauro e Rosarno.
L'esportazione di vino locale si svolgeva senza intermediazioni commerciali, ed il prodotto veniva inoltrato direttamente nei paesi di destinazione. Il balzo in avanti sembrava essere vicino, ma il nodo rimaneva la commercializzazione del prodotto: i dazi troppo alti, i costi di trasporto impossibili da sostenere, le sofisticazioni con l'alcool importato dall'estero. La Camera era intervenuta chiedendo al Governo la realizzazione di stazioni enotecniche all'estero, cantine e depositi per i vini italiani, ed aveva sostenuto la battaglia contro le sofisticazioni. Nei primi anni Ottanta, peraltro, si era verificata un'inversione di tendenza: erano gli stessi commessi delle case vinicole francesi a recarsi nelle vigne reggine per fare incetta di vini. Questo permetteva di acquistare a prezzi decisamente più bassi, con la grave conseguenza di impedire lo sviluppo di produzioni locali pregiate, cosicché la produzione reggina non era riuscita a fare il salto di qualità necessario per affermare il prodotto all'estero. Sul finire degli anni Ottanta una vera e propria guerra commerciale con la Francia avrebbe determinato la crisi delle esportazioni.
La Camera di Commercio consigliava allora di organizzare la produzione in maniera tale da poter rispondere alla richiesta di grandi quantitativi, reclamizzando i vini tipici e locali. Si poneva però, anche in questo settore, il problema degli alti costi di trasporto, poiché la commercializzazione di piccoli quantitativi non permetteva bassi noli marittimi.
Nel 1895 nuovi fattori intervenivano a complicare ulteriormente la situazione: il fronte concorrenziale si allargava ulteriormente, con l'ingresso dei vini greci, della stessa qualità di quelli reggini, che, grazie ad una politica basata sul minor prezzo, si imponevano sul mercato.
I vini reggini erano condannati a non affermarsi all'estero: seppur di ottima qualità, la scarsa conoscenza dei moderni metodi di commercializzazione da parte dei produttori locali penalizzava fortemente l'intero settore.
Nei primi anni del Novecento, la soluzione divenne radicale: gran parte dei terreni coperti da vigneti sarebbero stati trasformati in coltivazioni di cereali.

L'industria manifatturiera nella provincia di Reggio Calabria: le filande

La Calabria aveva nel 1880 una percentuale di popolazione industriale molto vicina a quella di regioni industrialmente sviluppate come l'Emilia o l'Umbria, impiegata, in genere, in piccoli opifici a conduzione familiare, in industrie di laterizi, di creta, di botti, di mobili e cordami, ed ancora presso distillerie, saponifici, fabbriche di pasta, tipografie e litografie.
Nella provincia di Reggio Calabria l'industria tessile rappresentava certamente un comparto dell'economia locale fortemente sviluppato e competitivo. I tessuti di lana erano prodotti in casa dai contadini, ad esempio l'orbace, un panno grezzo molto resistente utilizzato per l'abbigliamento. Questa lavorazione non sarebbe mai divenuta un settore economico molto sviluppato, al contrario della “trattura” della seta che era divenuto un vero e proprio processo industriale.
L'industria serica si era considerevolmente sviluppata grazie all'allevamento del baco da seta, largamente diffuso fino alla prima metà dell'Ottocento, quando le coltivazioni di gelsi erano le più estese sul territorio. Si trattava di attività che non richiedevano grossi capitali, e pertanto erano radicate anche nelle famiglie contadine, che arrotondavano le magre rendite dei poderi con i guadagni ottenuti dalla vendita dei bachi da seta.
Il lavoro della filatura e della tessitura era appannaggio quasi esclusivo delle donne: queste lavoravano le materie prime e le sete grezze che poi sarebbero state esportate in Francia e in Piemonte, per essere ulteriormente raffinate.
Dal 1858 in poi gli allevamenti di baco da seta furono decimati dalla pebrine, per cui la produzione si ridusse drasticamente. Tutto ciò condusse alla triste conseguenza di eliminare la coltura di gelsi, utilizzati per alimentare i bachi, a favore degli agrumi: “in molte contrade il vecchio albero di more, simbolo dell'operosità industriale di una intera regione, veniva largamente abbattuto”.
Paradossalmente, l'industria serica non aveva seguito le sorti delle piantagioni di gelsi. Anzi, la provincia di Reggio aveva consolidato la propria posizione di leadership per questo genere di produzione.
Negli anni Sessanta l'industria serica appariva ancora forte, con centosessantuno filande e tremila operai impiegati. Dal 1875 in poi si registrava una flessione delle attività tradizionali, mentre nascevano cinque filande a vapore di cui tre inglesi. Nel 1880 esistevano circa ottanta filande e nel 1888 restavano ventisette stabilimenti di filatura.
Fino al 1887 le esportazioni erano state in continua crescita, ma già in quell'anno, la Camera di Commercio metteva in guardia da possibili contraccolpi derivanti da una eventuale modifica degli accordi commerciali con la Francia: le filande reggine, infatti, lavoravano solo su commissione di grandi industrie straniere. Era dunque di fondamentale importanza mantenere saldi tali rapporti per garantire la vendita dei
prodotti.
Tra gli anni '80 e '90 la produzione di bozzoli era insufficiente ad alimentare le filande reggine. L'allevamento del baco avveniva a livello domestico per fornire sia gli opifici reggini che le industrie del Nord Italia ed estere. In seguito alla crisi, gli opifici reggini iniziarono ad acquistare i bachi anche dagli allevatori delle altre province calabresi. Inoltre, la seta diveniva un prodotto difficile da vendere, perché rappresentava un bene di lusso destinato solo ad un mercato d'élite.
Nel 1894 erano attive ventinove fabbriche, con ben cinquemila operai. Una serie di elementi positivi compensava le perdite causate allevamenti dall'insufficiente produzione di bozzoli: la guerra cino-giapponese aveva spostato la concorrenza delle sete orientali dai mercati europei a quelli americani.
La produzione reggina sarebbe stata però interrotta nel 1894 a causa del terremoto del 16 novembre.
La eccellente qualità delle sete reggine era determinata dall'acqua purissima che giungeva dall'Aspromonte, e questo rendeva possibile competere con i più moderni opifici di Milano o Genova. Ma la ragione della competitività delle filande reggine nel panorama nazionale dipendeva soprattutto dallo sfruttamento degli operai, pagati miseramente rispetto alle ore di lavoro giornaliere.
E' vero che negli anni Novanta nasceva la prima legge per regolamentare le controversie tra industriali ed operai, attraverso l'istituzione del collegio dei Probiviri, ma dalle relazioni dell'Ente camerale emergeva un dato: nella provincia di Reggio Calabria non si evidenziavano particolari situazioni di malessere nella classe operaia.
In realtà, gli operai diffidavano di istituzioni simili: ignorando quali fossero i loro reali diritti, ritenevano di poterne essere danneggiati. La legge, infatti, attribuiva proprio alle Camere di Commercio competenti per territorio l'obbligo alla creazione dell'istituto di tutela dei lavoratori nelle zone industrializzate. La Camera reggina propose l'istituzione dei collegi a Villa San Giovanni ed a Reggio, dove si concentrava il maggior numero di filande, seppur con molti dubbi sull'utilità effettiva di un tale istituto.
Intanto, anche nel settore serico si presentavano all'orizzonte pericolose nubi, determinate dall'allargamento dei mercati e dalle insidie della concorrenza: il Giappone incrementava il livello di produzione destinato all'esportazione, riuscendo così ad imporsi su tutti i mercati.
Alla fine del secolo le filande reggine piombavano in un profondo stato di crisi.
Erano mancati quegli sgravi fiscali, sui combustibili e le materie prime, che dovevano servire a mantenerle competitive.
A questo genere di problematiche si era aggiunto il catastrofico terremoto del 1908.
La seconda guerra mondiale avrebbe decretato la fine dell'industria serica reggina.
Tra le cause maggiori del definitivo tracollo: la diffusione delle fibre sintetiche; il monopolio di Cina e Giappone; lo scarso livello tecnologico degli opifici reggini; la mancata trasformazione di una produzione artigianale in un'industria moderna.
La provincia di Reggio Calabria, non riuscendo ad adeguare il proprio sistema produttivo alle esigenze che l'allargamento delle frontiere commerciali aveva determinato, perdeva una grande occasione per avviare quel processo di rilancio economico che, restando limitato all'agricoltura, non avrebbe potuto garantire sviluppo e progresso.

Il porto ed i collegamenti marittimi: una scommessa per lo sviluppo

La Camera di Commercio reggina si era occupata, sin dagli albori della sua costituzione, dei problemi legati alla navigazione, manifestando un forte interesse alle tematiche relative al raccordo tra il trasporto marittimo e quello ferroviario.
La costruzione del nuovo Porto era divenuta finalmente prioritaria per la nuova classe dirigente reggina, ben consapevole del'importanza di rendere autonoma la città da Messina, nei trasporti e nella commercializzazione via mare delle merci.
L'approdo commerciale della città di Reggio, sino alla metà dell'Ottocento, era situato lungo il litorale, tra la punta di Calamizzi e la rada dei Giunchi.
Con la realizzazione della “Strada Marina” e l'ampliamento urbano verso la periferia nord della città, le attività marittime si spostarono tra la chiesa di Portosalvo e la foce dei torrenti Santi e Caserta.
Il basamento dell'antico forte di San Francesco venne adattato ad uso di “sbarcatoio”, realizzato con una parete sottile in legno. Dopo il 1860, il molo di Portosalvo, in seguito ai danni recati da violente mareggiate, venne consolidato con strutture in pietra e divenne così il fulcro della intensa attività commerciale legata all'incremento delle produzioni agricole e artigianali dell'intera provincia reggina.
La costruzione del nuovo porto era nelle aspirazioni più vive dei governanti reggini, che ritenevano altresì importante per la creazione di un efficace sistema dei trasporti, la realizzazione della ferrovia tirrenica, finalizzata alla “congiunzione del produttivo bacino della Piana” con il nuovo bacino portuale di Reggio.
Tra le proposte avanzate vi era anche quella di imporre un dazio sull'esportazione delle sete, degli agrumi e delle essenze per finanziarie la realizzazione dell'importante infrastruttura.
La Camera di Commercio, nell'assemblea del 6 agosto 1863, poneva come primo punto all'ordine del giorno la “proposta d'indirizzo per il porto”. Su indicazione del presidente Rognetta, si costituì una commissione in cui figuravano il Cavaliere Genoese-Zerbi ed il consigliere Ferdinando Scuderi, con il compito di realizzare una dettagliata analisi delle esportazioni ed importazioni effettuate nel bacino commerciale della provincia reggina da inviare al Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, per corroborare con dati evidenti le motivazioni che rendevano ormai improrogabile la costruzione del porto.
Nel 1861 tre tecnici governativi si occuparono di redigere il progetto: la rada di Pentimele, oltre la foce della fiumara dell'Annunziata, veniva indicata come il luogo più adatto in cui posizionare il bacino portuale. La costruzione del nuovo porto fu autorizzata con il Regio Decreto dell'1 agosto 1870, che seguiva le deliberazioni comunali del 6 luglio e del 14 agosto 1869. L'affidamento dei lavori avvenne nel 1872, il cantiere venne finalmente aperto nel 1873.
Alla fine del 1885, era realizzata tutta l'escavazione del bacino, ricavato quasi tutto entro terra, ottenendo una superficie di acqua protetta di sei ettari con fondali di circa sei metri. Era stato costruito un molo di centosessanta metri in direzione Nord-Est, con una bocca protetta da un pannello di massi artificiali.
Nel 1888, dopo i lavori per il restauro della banchina di approdo, si chiudeva la prima fase di realizzazione del porto, anche se rimanevano ancora evidenti limiti da colmare: in primo luogo, l'opera non consentiva l'ormeggio di grossi bastimenti a causa dei bassi fondali. Decisa era l'azione dei comitati pro-porto, fortemente sostenuti dalla Camera di Commercio, volta ad ottenere la qualifica di porto di prima classe, mentre ebbe un nuovo impulso la costruzione dei primi tratti della linea ferroviaria tirrenica.
Il seguente documento è tratto dalla relazione del presidente cav. Filippo Marcianò, che affrontava nel 1884 l'argomento della classificazione del porto e che veniva inviata ai ministri competenti, al Consiglio di Stato ed ai Consigli Superiori della Marina, dei Lavori Pubblici e del Commercio:

“La Camera, sulla relazione del proprio presidente e conformemente alle considerazioni in essa accennate,
DELIBERA
Far sue le dette considerazioni, e pertanto rassegnare al Governo, manifestando il voto che il Porto di Reggio, nella prossima pubblicazione dello elenco, à termini dell'art. 3 della legge 29 luglio 1884, venga compreso in 1. Categoria come Porto di Rifugio.
Che le spiagge di Melito, Lazzaro, Pellaro, Gallico, Catona, Acciarello, Villa San Giovanni, Cannitello, e Scilla siano classificate anche nella 1. Categoria.
Che la spiaggia di Gioia Tauro sia dichiarata di 3. Classe della 2.Categoria.
Comunicare detto voto alle Consorelle nel Regno cui interessa la sicurezza della Navigazione, affinché lo appoggino col loro autorevole parere; a tutti gli altri Corpi dello Stato, ed al Governo del Re”.

La Giunta Municipale manifestava un grande apprezzamento per l'operato della Camera di Commercio e ne evidenziava, in una relazione indirizzata al Governo, il ruolo svolto nella redazione dei dati statistici sulle caratteristiche e la qualità del porto reggino, che si sarebbe rivelato utile per i commerci ma anche come rifugio per le navi in caso di tempesta.
Nel 1885 la Camera di Commercio avviava le pratiche per consentire l'approdo nel porto di Reggio dei piroscafi della Società di Navigazione Pugliese. L'anno successivo un rappresentante camerale veniva delegato a seguire i lavori della Commissione ministeriale, con il compito di caldeggiare la riclassificazione del porto.
Con il R.D. 7 agosto 1887, n. 5053, il Porto di Reggio otteneva la qualifica di porto rifugio e veniva incluso nell'elenco dei porti di prima categoria, ed alla seconda classe della seconda categoria agli effetti del commercio.
L'approdo di Portosalvo rimaneva ancora lo scalo commerciale della città e del suo hinterland. L'attività della Camera reggina non si fermava: nel 1889 inviava al Comune di Reggio la richiesta, in seguito accolta, per costruire i nuovi magazzini di deposito delle merci tra il molo di Portosalvo e la ferrovia; successivamente, si occupava di chiedere la predisposizione di una fermata del treno proveniente da Villa San Giovanni presso lo scalo portuale.
La legge 14 luglio 1889, n. 6280, finanziava l'ampliamento del porto, nonché l'approfondimento dei fondali e la realizzazione di muri di sponda per favorire l'accostamento di grosse navi. Le due banchine venivano completate nel 1897, insieme al pontile di approdo dei ferry boat, situato a sud, in corrispondenza dello scalo ferroviario marittimo, dove successivamente venne costruita la stazione di Reggio Calabria-Porto, come da progetto approvato nel 1899.
Secondo la Camera di Commercio, agli inizi del Novecento il porto di Reggio era ormai una realtà consolidata: il bacino consentiva l'approdo anche ai piroscafi per lo svolgimento delle operazioni commerciali. L'attivazione del servizio dei ferryboat, divenuto regolare dopo il 1899, consentiva un continuo scambio di vagoni e di merci con la vicina Sicilia, e, attraverso la linea ferroviaria, al resto d'Europa.
La nascita del porto di Villa San Giovanni rischiava di marginalizzare l'importanza del porto reggino: la più diretta vicinanza a Messina aveva attirato l'attenzione della Società per le Ferrovie Sicule che aveva realizzato una invasatura per i ferry boat.
Questa situazione rischiava di compromettere enormemente gli interessi economici reggini. Per tale ragione, il Comitato pro-porto divenne permanente e nel 1904 si organizzò per rilanciare la causa del porto reggino e renderlo definitivamente competitivo.
Nello stesso anno, le maggiori autorità politiche ed amministrative locali si riunivano per trovare una soluzione alle annose questioni portuali. Il sindaco Domenico Tripepi invitava i presidenti delle delegazioni provinciali e la Camera di Commercio a valutare il progetto presentato dal Genio civile.
La Camera di Commercio riteneva prioritari i lavori di ampliamento del bacino e la realizzazione di ulteriori banchine. Frattanto, il comitato pro-porto continuava con maggiore intensità la propria attività, soprattutto dopo la scelta delle Ferrovie di puntare sul porto di Villa San Giovanni, considerato che, a Reggio, notevoli le difficoltà erano create dai binari che rimanevano ad una quota più alta rispetto agli invasi. Il Comitato avanzò allora una proposta, detta Variante Rossa, che prevedeva lo prolungamento della linea ferrata fino ai terminali d'imbarco.
Il Piano Regolatore dei Lavori del Porto, approvato il 20 novembre 1906, sulla scorta della nuova classificazione introdotta dalla legge 25 giugno 1906 che, accogliendo le proposte formulate, lo aveva compreso nella tabella F, comprendeva una serie di lavori di riqualificazione e miglioramento, tra i quali, la realizzazione di binari di servizio lungo la banchina e la costruzione dei capannoni ferroviari, l'ampliamento del bacino portuale verso oriente con fondali di 8 metri, la realizzazione di una darsena, con fondali di 5 metri, a Nord, la costruzione di tettoie, impianto gru e altre infrastrutture di servizio (acqua, illuminazione, ecc.), ed infine, la costruzione degli edifici della Dogana e della Capitaneria di Porto.
Il terremoto del 28 dicembre 1908 bloccò i lavori appena iniziati ponendo l'indilazionabile esigenza di rendere di nuovo operante il bacino, devastato dal maremoto, come luogo di approdo per lo sbarco di materiali di soccorso e lo smistamento delle merci.
La ricostruzione del molo di ponente e delle banchine a Sud-Ovest venne iniziata nel 1910.
L'attuazione del Piano Regolatore aveva evitato in parte le soluzioni tecniche previste dalla Variante Rossa. Per tale ragione, nel 1913, la Camera di Commercio si schierava con il Comitato pro-porto per sostenere l'intera proposta della variante.
L'azione fortemente propositiva della Camera sarebbe andata avanti negli anni Venti, con la costruzione dei Magazzini Generali e la creazione della Capitaneria di Porto. Importantissimo fu il ruolo che la Camera Reggina svolse per la riapertura della Scuola Nautica, chiusa dopo le vicende connesse all'Unità d'Italia. L'invito della Camera a riaprire la scuola, punto fondamentale dell'attività svolta nel campo della promozione dell'istruzione tecnica, venne accolto con entusiasmo dall'Amministrazione Comunale e dalla Provincia, che congiuntamente, si fecero carico, al cinquanta per cento delle spese di funzionamento, mentre la Camera aveva il compito di stabilire i programmi e le materie, nonché di nominare i docenti. La scuola si consolidava negli anni, e l'Ente camerale richiedeva al Ministero l'iscrizione nella leva di mare degli studenti, occupandosi al tempo stesso di reperire una nuova sede. Nel 1876 si riordinava la struttura, predisponendo anche dei sussidi per gli studenti.
Il terremoto del 1908 avrebbe segnato tristemente anche l'attività della scuola, che nel 1929 sarebbe stata rifondata con il nome di “scuola marinara”, mentre nel 1933 la Camera di Commercio reggina avrebbe sostenuto la nascita di un'altra struttura scolastica per addestrare i giovani alla vita di mare, la costituenda Società Possidonia.

1908 - 1940: La ricostruzione della città ed il rilancio dell'economia

Il terremoto del 1908 aveva messo in ginocchio l'economia reggina.
Le infrastrutture e molti centri propulsori delle attività legate alla produzione agricola e semindustriale subirono gravi danni. Le conseguenze per l'intera città e la sua economia furono devastanti. La sede stessa della Camera di Commercio si sgretolò: a stento furono messi in salvo libri e registri.
Quasi immediatamente l'attività amministrativa venne ripristinata, affidandola ad un Commissario Regio, per riprendere l'esercizio provvisorio dopo soli diciotto giorni: un'encomiabile impegno che rappresentava la voglia della popolazione reggina di reagire all'immane tragedia, di fronte ad un disastro che aveva sconvolto ogni equilibrio e costringeva a ripartire pressoché da zero.
Completata l'organizzazione degli uffici nella sede provvisoria in legno della città “baraccata”, il 7 maggio 1909 le elezioni determinano i nuovi componenti del Consiglio Camerale: il comm. Antonio Vilardi, il rag. Antonio Mileto, il sig. Lorenzo Cordova, il rag. Gerardo Paladino, il sig. Giuseppe Rigoli, il comm. Giuseppe Spinelli, il prof. Domenico Laface, l'ing. Giovanni De Marco, il march. Francesco Genoese Zerbi, il cav. Salvatore Rognetta, l'avv. Carlo De Blasio, il sig. Giuseppe Mazzitelli, il cav. Vincenzo Bottari.
Il comm. Vilardi e il rag. Mileto venivano successivamente nominati Presidente e Vicepresidente.
L'attività della Camera doveva riprendere al più presto: dopo la catastrofe, essa rappresentava l'unica istituzione a tutela delle aziende colpite e degli interessi economici della città, in un momento in cui il Governo era intento a favorire la ricostruzione ed a risolvere l'emergenza.
Nel mese di giugno la Camera approvava una prima proposta per la riattivazione della vita economica della Provincia.
Le urgenze erano tante: evitare i saccheggi di merci nelle zone del porto, costruendo appositi magazzini; riattivare il sistema ferroviario per rendere più agevole la commercializzazione dei prodotti della provincia; accelerare il ritorno a Reggio di importanti uffici spostati in altre città, come la Sezione Commerciale.
Il terremoto aveva definitivamente distrutto l'approdo di Portosalvo, per cui il porto diveniva, nonostante i danni subiti, l'unico scalo marittimo della città, nonché lo sbocco obbligato per i commerci locali e l'approvvigionamento delle materie prime.
Intanto la legge 121 del 20 marzo 1910 riorganizzava strutturalmente le Camere di Commercio ed Industria. Anche la Camera reggina veniva rinominata e si apprestava a darsi una nuova sede che sostituisse quella baraccata, oramai insufficiente nonostante le opere di ampliamento realizzate.
Venne individuato il suolo su cui costruire la nuova sede, in prossimità di quella distrutta dal terremoto. Il nuovo edificio sarebbe sorto in via Crisafi ad angolo con la via Liceo, oggi via Campanella, su progetto dell'ingegnere Zani. Il prospetto principale, e di conseguenza l'ingresso dell'edificio, previsti inizialmente sulla via Crisafi, sarebbero stati invece spostati sulla via Liceo.
La prima pietra venne posta nel 1926, alla presenza del Ministro del Regno, Balbo.
Lungaggini burocratiche legate all'applicazione delle nuove norme antisismiche e le problematiche connesse al difficile reperimento dei materiali necessari determinarono notevoli ritardi nell'esecuzione dei lavori, che ebbero inizio nel 1929 e furono condotti dalla ditta Borrello, poi completati nelle rifiniture artistiche degli interni dal prof. Romano Buva.
Nel dicembre del 1935 la nuova sede era finalmente ultimata.
Analoghe difficoltà ritardavano la ricostruzione di strutture ed infrastrutture della città, anche se il processo di rinascita era comunque avviato, e nuovi progetti prendevano corpo: in costruzione dal 1912, la tramvia attraversava la città dall'Annunziata a Sbarre centrali, sebbene il progetto originario fosse molto più ambizioso e prevedesse una linea di quasi dodici chilometri.
La Camera di Commercio aveva da subito sostenuto la realizzazione di quest'opera che introduceva fattori di indiscutibile modernità nella vita della città.
Sul fronte portuale si continuava a lavorare, affrontando anche le questioni ad esso legate, come l'individuazione delle Aree Industriali. Il piano di ricostruzione dell'ingegnere De Nava indicava la zona di Santa Caterina, perché prossima al Porto, ma questa ipotesi non aveva trovato riscontri pratici. Nel 1913 la Camera di Reggio Calabria denunciava una situazione stagnante che non dava soluzione all'esigenza di stabilire e delimitare tale area.
Solo nel 1930 il Comune di Reggio avrebbe predisposto il Piano Regolatore per la Zona Industriale e, successivamente, sarebbero stati necessari altri otto anni perché tale piano fosse approvato.
Intanto la città continuava a crescere sul fronte demografico: soltanto nell'anno 1929 la popolazione reggina era cresciuta di 1.759 persone. I numerosi cantieri aperti per la ricostruzione facevano della città un polo d'attrazione per la manodopera dalla provincia, e la realizzazione della Grande Reggio, propugnata dall'ammiraglio Genoese Zerbi, che aveva portato ad accorpare a Reggio ben quattordici comuni limitrofi, rappresentano il momento topico della trasformazione urbana.
Le tematiche dello sviluppo furono affrontate con uguale zelo anche in altri grandi comuni della provincia: la costruzione dei Magazzini generali a Gioia Tauro ed a Villa San Giovanni, l'approvazione di una disciplina per la regolamentazione degli impianti industriali di Gioia Tauro e Siderno, nel 1936, sono passaggi significativi.
Sul fronte agricolo il Novecento aveva portato una certa stabilità dopo la grande crisi del secolo precedente. L'agricoltura si confermava il cardine dell'economia locale.
Inoltre, la marginalità della provincia reggina rispetto alla prima guerra mondiale aveva assicurato un periodo fiorente per le esportazioni che vedevano ridotta al minimo la concorrenza.
In quegli anni era stato istituito il Consorzio obbligatorio per il bergamotto, con l'obiettivo di contribuire ad abbassare il livello di conflitto tra produttori, stabilizzando i prezzi e riducendo i contrasti determinati dal forte regime concorrenziale.
La Camera proponeva numerose e concrete iniziative per rafforzare e far progredire il settore agrumicolo, ad esempio un premio per l'ideazione di una nuova macchina per l'estrazione dell'essenza di bergamotto e, ancora, nuove tecniche per difendere le coltivazioni da malattie come la Bianca Rossa.
Questo nel primo trentennio. Il 1929, con il crollo dei prezzi, non avrebbe risparmiato i prodotti agricoli dell'area dello Stretto. Il Comitato per l'Economia, che aveva sostituito la Camera di Commercio nel periodo fascista, mantenendo fondamentalmente le stesse finalità, aveva avanzato delle proposte concrete per risolvere la crisi, senza ottenere sostanziali risultati. In particolare, auspicava l'istituzione di una borsa per il bergamotto. La crisi era senza precedenti e solo sul finire degli anni Trenta si sarebbe attenuata, in coincidenza con l'inizio della guerra spagnola. In questa fase, la Camera di Commercio confluiva nel Consiglio Provinciale delle Corporazioni, che rappresentava la concreta attuazione della logica fascista di costruzione dell'economia corporativa, conservando scopi ed obiettivi. E' così che, negli anni trenta aveva finanziato campagne di promozione per far partecipare l'essenza di bergamotto a mostre nazionali ed estere.
L'industria manifatturiera, dal canto suo, confermava una tendenza positiva: i dati pubblicati indicavano in netta ripresa i settori dei trasporti, dell'edilizia, dell'abbigliamento, degli alimentari.
Il settore edilizio aveva avuto una decisa impennata poiché la ricostruzione della città doveva avvenire in tempi celeri, pertanto le ditte di costruzioni si erano trovate ad affrontare un surplus di domanda, destinata però a scemare.
Il sistema industriale, dopo il terremoto, non aveva subito cambiamenti decisivi: la manifattura, l'industria di laterizi, le fabbriche di calce, l'industria della ceramica, la lavorazione del legno e delle botti, la produzione agrumaria continuavano ad essere i gangli vitali del sistema economico nella provincia di Reggio. In particolare il settore della lavorazione del legno era in forte crescita, soprattutto nelle zone dell'Aspromonte, ed il Consiglio per l'Economia esortava i costruttori di quegli anni a valorizzare tale preziosa risorsa utilizzandola anche nelle costruzioni pubbliche. Tra Reggio e Villa San Giovanni si confermava vincente il settore sericolo: nel settembre del 1934 nasceva l'Istituto Bacologico per la Calabria con sede a Cosenza, con l'obiettivo di attuare azioni di promozione a favore della gelsicoltura e della bachicoltura, ma anche per sostenere l'ampliamento delle imprese esistenti ed accrescerne la produzione.
Il crollo dei prezzi del 1929 non risparmiò neanche questo settore: se nel 1923 un chilo di bozzoli costava circa 25 lire, nel 1934 si riduceva a circa 3 lire.
In questi anni scomparivano due dei comparti più importanti dell'economia reggina: le filande e le colture di gelso.
Dopo il terremoto, la Camera di Commercio aveva intensificato fortemente la propria attività per promuovere l'istruzione tecnica superiore: la formazione veniva considerata il punto di partenza per risollevare l'economia reggina. Dopo la prima esperienza di gestione della Scuola Nautica, l'ente camerale erogava contributi per sostenere gran parte degli istituti tecnici di Reggio Calabria: nel 1913 il Consiglio camerale approvava l'elevazione di grado della Scuola Industriale; in seguito venivano erogati contributi per la scuola di Disegno, per il Consorzio di Cattedra Ambulante di Agricoltura, per l'istituzione di una Scuola Pratica di lingue straniere.
Furono anche deliberati contributi periodici per l'Università di Messina e per la nuova Scuola Industriale di Siderno.
Una certa sensibilità nei confronti del progresso delle Arti veniva manifestata dalla Camera con iniziative di sostegno al Conservatorio Musicale che istituiva nel 1927 l'Accademia Filarmonica Reggina, come anche per la fondazione di un Istituto d'Arte a Reggio Calabria. Gli ottimi risultati ottenuti indussero l'ente ad entrare nel Consiglio d'Amministrazione e rendere sempre più cospicui gli incentivi per il suo mantenimento.
Contributi rilevanti vennero erogati anche per l'istituzione di due Scuole Tecniche Agrarie, considerate necessarie per risollevare il comparto agricolo attraverso un'offerta formativa qualificata per gli addetti del settore.
Altra colonna portante del rilancio economico della provincia era rappresentata dal ripristino funzionale delle grandi infrastrutture per i trasporti. Diventava, pertanto, di assoluta priorità dedicarsi alla ristrutturazione di quelle danneggiate dal terremoto ed alla costruzione di moderne strutture, in grado di collegare al meglio la provincia ed i mercati esteri, rendendo veloci e sicuri gli spostamenti di merci e passeggeri.
Ancora si discuteva della Variante Rossa per il Porto, quando la Camera di Commercio intraprendeva una nuova, importante avventura: la progettazione e realizzazione dell'Aeroporto civile di Reggio Calabria. Ma se la Camera aveva in passato offerto un contributo ideologico alla causa del Porto, adesso si apprestava ad ingenti impegni finanziari per la costruzione dello scalo aereo reggino, localizzato nella vasta pianura di Ravagnese: 500.000 lire, una somma considerevole per l'epoca, venne stanziata dal Consiglio Camerale.
A seguito della riforma camerale del 1910 le Camere di Commercio compilavano rapporti periodici degli usi e delle consuetudini commerciali della Provincia.
La Camera Reggina aveva nominato nel 1912 la Commissione preposta a questo ufficio.
In questo arco di tempo tra il 1913 ed il 1934, la Camera reggina redigeva una serie di documenti che costituiscono, ancora oggi, un prezioso materiale per conoscere
contratti di vendita e consuetudini commerciali riguardanti gli argomenti più disparati: l'imballaggio per la spedizione delle cipolle nel 1923; la compravendita dell'essenza di bergamotto nel 1925; le operazioni di carico e scarico nel porto reggino nel 1926; l'obbligo dello stivaggio dei motovelieri nel 1927; la mediazione di legname e la compravendita del bestiame; l'uso della misura dell'olio nel comune di Oppido Mamertina nel 1931 fino agli che regolavano la compravendita dei vitelli nel 1932.
Nel 1934 la nuova normativa che trasformava l'Ente Camerale in Consiglio Provinciale delle Corporazioni, faceva cessare tale importante ufficio.

Dal secondo dopoguerra agli anni Ottanta: l'incentivazione dell'industria e la Cassa per il Mezzogiorno

Nell'era post-bellica, con la denominazione, la Camera di Commercio riprendeva i suoi compiti istituzionali all'interno di un'economia fortemente depressa.
L'attenzione della Camera reggina si rivolgeva in quegli anni al potenziamento dell'agrumicoltura, al miglioramento delle infrastrutture legate ai trasporti, ad una presenza sempre più attiva alle manifestazioni fieristiche nazionali ed internazionali. La Seconda Guerra Mondiale determinò un vero e proprio tracollo per l'economia reggina: tra il 1943 ed il 1944 la mole di disagi e distruzione si abbatté come una catastrofe su tutta la provincia, non risparmiando nessun settore del sistema produttivo. Tutti gli sforzi per ricostruire le strutture urbane e le infrastrutture territoriali venivano vanificati dalla cruenza del conflitto: nel 1945 si riscontrava che “l'onesto commercio di esportazione di agrumi, essenze, vini di produzione locale era paralizzato dalla mancanza di carri ferroviari e di altri mezzi di trasporto”.
La situazione non era certo migliore per il comparto industriale. A causa dell'esiguità degli approvvigionamenti di combustibile i piccoli stabilimenti per la trasformazione dei derivati agrumari e per la filatura della seta erano praticamente inattivi.
Con la caduta del regime, nel 1944, il Consiglio Provinciale delle Corporazioni riprendeva il vecchio nome di Consiglio per l'Economia, per divenire, successivamente, Camera di Commercio ed Industria. Veniva ristabilita la natura elettiva dell'istituto, e, in via provvisoria, la nomina del Presidente veniva attribuita al Governo centrale, mentre la composizione della Giunta camerale era attribuita al Prefetto. L'allargamento della Giunta agli Agricoltori ed agli Artigiani avvenne successivamente, nel 1951; L'avvento del nuovo stato repubblicano introduceva importanti programmi di ricostruzione industriale, ma la provincia reggina rimase ancora una volta penalizzata da tali iniziative: la causa era da rintracciare nella estrema perifericità e nella “mancanza assoluta dell'industria, la particolare fisionomia dell'agricoltura e le caratteristiche delle colture agrarie, che non consentono un maggior assorbimento di mano d'opera”. Erano queste le ragioni individuate dal prefetto reggino, in veste di commissario della Camera di quei difficili anni.
Solo in seguito ai gravissimi danni dell'alluvione avvenuta nel 1953, lo Stato si interessò della Calabria con provvedimenti urgenti e l'istituzione di una Commissione di Studio. L'intervento pubblico era strutturato secondo due direttrici: da una parte la difesa del suolo, dall'altra l'azione concreta per risollevare le sorti di una'area geografica economicamente in ginocchio.
Il Governo, dopo ampi dibattiti, giunse alla determinazione di stanziare per la Calabria ingenti fondi destinati alla realizzazione di opere di bonifica, di consolidamento, di viabilità, di irrigazione, ecc. Sul finire degli anni cinquanta, veniva istituita la Cassa per le Opere Straordinarie di Pubblico Interesse nell'Italia Meridionale, detta comunemente Cassa per il Mezzogiorno, e nascevano la Legge Speciale Pro-Calabria e la legge per l'incentivazione dell'industrializzazione.
A seguito di tali interventi legislativi, si registrava una lenta ripresa dell'agricoltura e delle attività produttive. Il settore trainante tornava ad essere quello agricolo, in particolare uliveti, agrumeti e vigneti.
L'incentivazione pubblica e l'iniziativa privata, congiuntamente, avrebbero attivato un processo di trasformazione che sarebbe diventato evidente solo negli anni successivi.
La produzione agrumicola reggina raggiungeva quasi un quarto della produzione nazionale. Le arance, secondo l'Istat, divenivano il primo prodotto agrumicolo della provincia reggina, cui seguivano il bergamotto, il limone ed il mandarino. Anche le esportazioni vivevano un momento di forte espansione.
Il settore andava però potenziato, e la Camera di Commercio proponeva al Ministero dell'Agricoltura l'istituzione di una Stazione Sperimentale per l'Agrumicoltura, con l'obiettivo di “effettuare ricerche sistematiche finalizzate a selezionare le varietà più adatte alle particolari condizioni dei terreni jonici e tirrenici”. La richiesta reggina non fu accolta, in quanto la già esistente Stazione di Acireale aveva funzioni interregionali.
La Camera di Commercio si proponeva comunque di regolamentare il sistema della produzione agrumicola, attuando una serie di iniziative legate direttamente alla produzione, quali:

L'agricoltura reggina tornava ad essere strutturata in maniera logica. La produzione di bergamotto era indirizzata prevalentemente alla produzione di essenze. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, le zone litoranee, che erano state bonificate, venivano destinate alla coltura di gelsomino. Per quanto riguardava l'olivicoltura, concentrata nell'area della Piana, la Camera di Commercio rilanciava una vecchia idea: l'istituzione dei Magazzini generali a Gioia Tauro, al fine di tutelare le caratteristiche del prodotto e salvaguardare gli interessi dei produttori. Proprio intorno a Gioia Tauro, infatti, si concentrava il maggior numero di frantoi e di industrie per l'estrazione e la raffinazione dell'olio.
La produzione di legnami rimaneva il settore più forte dell'economia dell'area aspromontana: boschi di faggi, querce e castagni, trainavano una serie di attività artigianali indirizzate alla produzione di infissi, mobili, ma anche di pipe, commercializzate addirittura nei mercati esteri.
Si moltiplicavano, inoltre, le aziende legate al comparto dell'agroindustria, per la produzione di succhi di agrumi, per la torrefazione del caffè, mentre l'industria delle costruzioni, dei laterizi e della calce traeva vitalità dalle attività di ricostruzione.
La Camera di Commercio aderì nel 1963 al nuovo Consorzio del Nucleo di Industrializzazione di Reggio Calabria, utilizzando le agevolazioni ed i contributi previsti dalle nuove leggi per creare le basi di un vero sviluppo industriale. Da questi presupposti a Reggio Calabria nacque l'industria meccanica delle OMECA, per la produzione di carri ferroviari.
L'Ente Camerale avviava, contemporaneamente, un dibattito per la creazione di un polo industriale forte a Reggio Calabria, per non lasciare isolato lo stabilimento nel contesto dell'area, ma anche un'intensa azione volta a favorire la crescita degli istituti di istruzione tecnica, aderendo al Centro Interaziendale per l'Addestramento Professionale nell'Industria, il Ciapi, localizzato a Catona e patrocinato dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Sorsero in città, con il contributo della Camera, i primi Istituti Tecnici Superiori ed il Conservatorio Musicale, simbolo di un impegno orientato ad innalzare il livello della formazione culturale e professionale, in una terra in cui il tasso di analfabetismo
era molto alto.
Accanto alla formazione, le infrastrutture rimanevano il volano dell'economia reggina: il porto aveva subito un crollo nei movimenti di imbarco e di sbarco, accentuato dalla contrazione delle importazioni di carbon fossile da parte delle Ferrovie e di grano dalla Federconsorzi.
La Camera richiedeva l'applicazione di quanto previsto dal Piano Regolatore originario, con l'ampliamento del molo e l'escavazione dei fondali fino a dodici metri, per rendere possibile l'attracco di grosse navi.
In quegli anni proseguivano anche i lavori per dotare l'Aeroporto, al cui Consorzio aderiva la Camera di Commercio, di piste più lunghe ed attrezzature potenziate.
Numerose ed incessanti proseguivano le iniziative a favore del commercio, in particolare con la realizzazione dei Magazzini Generali a Gioia Tauro e del Mercato Ortofrutticolo a Reggio.
L'attività della Giunta Camerale procedeva intensa su questi ed altri versanti: si costituivano i Comitati Regionali della Programmazione Economica, si dava attuazione al primo Piano Economico della Calabria ed al primo Piano di Coordinamento Territoriale.
Si affermava in quegli anni una nuova politica economica e territoriale della Calabria: la Camera di Commercio rinnovava il suo impegno per la nascita di nuove infrastrutture e per favorire lo sviluppo industriale.
Prendeva il via il Piano di Assetto Territoriale della Calabria, con l'obiettivo di innescare un meccanismo di sviluppo economico tale da trasformare in positivo i gravi ed assillanti problemi della Calabria, in termini di occupazione ed industrializzazione.
Si cercava di espandere la rete stradale ed autostradale, in maniera tale da collegare ed integrare il nucleo industriale di Reggio con quello della Piana di Gioia e della Locride.
Rimaneva comunque, agli inizi degli anni settanta, un gap difficile da superare, di tipo strutturale, evidenziato dal professor De Nardo nella sua relazione curata per il Centro di Studi e Ricerche economico-sociali della Calabria, dell'Unione regionale delle Camere di Commercio: egli indicava, quali ragioni della staticità industriale calabrese, la diffidenza sociale mai superata, gli intralci burocratici, i ritardi nelle decisioni imprenditoriali.
In questo scenario, le mille contraddizioni economiche, politiche e sociali esplosero nella drammatica “Rivolta di Reggio”, che segnò clamorosamente la nascita, dal punto di vista amministrativo, della Regione Calabria.
Il Governo centrale, nel maldestro tentativo di porre rimedio alla scottante situazione reggina, intraprendeva una strada che si sarebbe rivelata tristemente sbagliata: attuava una serie di provvedimenti per un decollo industriale che non si sarebbe mai tradotto in realtà. Era l'epoca del Quinto Centro Siderurgico, miseramente fallito a causa della crisi internazionale dell'acciaio. Analoga sorte seguivano le iniziative realizzate nelle grandi aree industriali di Gioia Tauro e Saline Joniche: a Gioia sorgeva l'Oto Breda ed a Saline le Officine Grandi Riparazioni, che non risolvevano i pressanti problemi occupazionali, ma andavano solo ad alimentare l'iniqua schiera dei cassintegrati.
L'attività della Giunta Camerale proseguiva comunque su questi ed altri fronti: si raccoglievano ed aggiornavano gli Usi e Consuetudini della provincia; la questione del potenziamento delle infrastrutture veniva portata sul tavolo del Governo, al fine di sciogliere il nodo legato al finanziamento per la dotazione del Porto reggino di attrezzature meccaniche e per favorire una soluzione al problema del trasporto gommato nella città di Villa S. Giovanni.
Sul finire degli anni Ottanta i settori produttivi legati all'industria, al terziario pubblico e privato registravano un sensibile incremento, mentre si determinava una flessione nella produzione agraria, che pur si confermava settore trainante dell'economia provinciale.
Nei primi anni Novanta, la Camera di Commercio di Reggio Calabria, alla luce delle trasformazioni economiche e sociali avvenute nella realtà provinciale, ha inteso rispondere alle esigenze delle imprese fornendo strumenti moderni per adattare il passo ai tempi.
Integrare l'economia locale con l'economia generale e la piccola impresa con l'ambiente: questi gli obiettivi prioritari sui quali la Camera di Commercio reggina ha scommesso. La rete Cerved, attraverso la quale la realtà locale si raccorda con le altre Camere di Commercio regionale e nazionali, nonché con i diversi organismi associativi, ha dato un valido contributo alla progressiva uscita dall'isolamento.
Emergono, in questi anni, due elementi dominanti, che saranno gli assi portanti del futuro economico della città: la trasformazione del porto di Gioia Tauro nel più grande terminal container del Mediterraneo e la consapevolezza che buona parte del futuro di questa terra è legato allo sfruttamento turistico.
La Camera di Commercio reggina appare particolarmente presente nelle attività di promozione e sviluppo delle iniziative imprenditoriali, avviando diversi progetti finalizzati a diffondere la cultura d'impresa ed a fornire assistenza tecnica a quanti intendono fruire degli incentivi e delle opportunità offerte dallo Stato. Comincia a farsi strada l'idea che, se da un lato bisogna guardare con attenzione all'Europa e rinsaldare fortemente i legami con il vecchio continente, dall'altro lato il bacino del Mediterraneo potrebbe divenire l'area verso la quale la provincia reggina dovrà propendere sempre più, favorita in ciò dalla posizione particolarmente felice in cui essa si trova. Anche in questo senso la Camera di Commercio reggina risulta attenta e proiettata nel futuro nel tentativo di fornire sempre più opportunità alle proprie
imprese. Numerosi sono infatti i progetti incentrati su queste prospettive, finalizzati
a trasformare in fattore positivo, nell'ottica dell'integrazione europea, la perifericità
della provincia reggina.
Il sistema camerale si è confermato il trait d'union tra il mondo delle imprese e la
Pubblica Amministrazione, in modo diversificato e con sforzo crescente, puntando
sulla qualità dell'informazione, la certificazione amministrativa, l'informazione
economica, la formazione, la creazione di nuove imprese, la promozione, l'innovazione,
l'internazionalizzazione.
I passi fatti nei primi centotrenta anni di storia della Camera di Commercio di
Reggio Calabria indicano in maniera chiara ed inequivocabile la strada tracciata
verso il futuro dello sviluppo economico della provincia reggina, per continuare il
percorso intrapreso al fianco ed al servizio delle imprese.

Bibliografia
Dal Catalogo della mostra celebrativa nel 130? anno di fondazione, Camera di Commercio Industria
Artigianato e Agricoltura Reggio Calabria, citazioni e riferimenti sono stati tratti dalle monografie:
- Una Camera al servizio delle Imprese per l'economia locale, a cura di Agostino Versace;
- 130 anni, a cura di Renato G. Laganà;
- Discorso del Presidente della Camera di Commercio ed Arti di Reggio Calabria letto nell'adunanza del 6 Gennaio 1865, Salvatore Rognetta;
- L'Economia della Provincia di Reggio nel periodo 1880-1908, a cura di Sebastiano Campolo;
- La produzione ed il commercio dell'olio d'oliva, a cura di Sebastiano Campolo;
- L'agrumicultura. La crisi agrumaria, a cura di Sebastiano Campolo;
- L'industria enotecnica, a cura di Sebastiano Campolo;
- L'industria manifatturiera, a cura di Sebastiano Campolo
- Il porto e le attività marittime, a cura di Renato G. Laganà;
- L'attività della Camera di Commercio e l'economia reggina tra il 1908 e il 1940, a cura di Renato G. Laganà;
- L'attività della CCIAA e l'economia reggina dal secondo dopoguerra agli ani Ottanta, a cura di Renato G. Laganà;
- La Camera di Commercio per gli anni Novanta, a cura di Antonio Polimeni.

Storia dell'Unione delle Camere di Commercio, a cura di Giulio Sapelli, Rubbettino, 1997. pagg. 21-22 Reggio Calabria, Storia delle città italiane, G. Cingari, Laterza, Bari 1988.
Verbali e relazioni della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Reggio Calabria.
Società operaie e società cooperative a Reggio Calabria nella seconda metà dell'Ottocento, a cura di Giuseppe Cantarella, da Calabria Sconosciuta, anno XI, n. 41, aprile-giugno 1988.
Un agrume molto colto, Il bergamotto, mito e storia, a cura di Carlo Mangiola e Giuseppe Polimeni, Culture,. Reggio Calabria, 1997.
Il problema dei trasporti nell'area dello Stretto, storia e prospettive, Nello Vincelli, Edizioni Editer, Roma, 1982.
La bachicoltura nel territorio reggino, di Renata Melissari, da Calabria Sconosciuta,anno IX, n.35, luglio-settembre 1986.


1992 - 2002: La riforma del sistema camerale. Legge n. 580 del 1993

Il ruolo e le strategie della Camera di Commercio di Reggio Calabria, a ridosso della riforma

Di fronte a questa riforma, che rinnova profondamente l'assetto e la funzione delle Camere è utile fare riferimento alla realtà che si andava profilando nel territorio reggino nel periodo in questione. Espressivo appare perciò quanto dichiarato appena un anno prima dal presidente della Camera di Commercio in carica nel 1992, Francesco Quattrone, che nella sua relazione annuale tracciava il ruolo e la strategia dell'ente richiamandosi alla struttura a rete delle Camere, un sistema atto a creare un punto di collegamento attivo tra Stato e mercato, per promuovere lo sviluppo locale. L'esigenza di questa struttura era dettata dalla mutevolezza del panorama socio-economico di riferimento, nonché in forma prioritaria dalla sempre più sofisticata diversificazione dei servizi proveniente dall'esterno.
L'immagine della rete con le sue maglie strettamente collegate tra loro, rende bene l'idea concreta di un sistema camerale che continua a ramificarsi sul territorio, che
va alla ricerca costante d'agganci sempre più concreti con le realtà produttive circostanti, in sostanza che crea ed articola infrastrutture capaci di penetrare a fondo nel contesto circostante.
Il Presidente in quella circostanza fece riferimento alla legislazione delle Camere di Commercio del 1934, che le configurava quali “enti di diritto pubblico che rappresentano le attività economiche e le rispettive circoscrizioni provinciali, assicurando il loro coordinamento e promovendo il loro sviluppo in armonia con gli interessi generali del Paese.” Le Camere di Commercio intese come avamposti della pubblica amministrazione, primo momento di contatto delle Imprese e delle loro associazioni con la stessa PA e, nello stesso tempo, termine di raccordo intersettoriale e periferico degli stessi strumenti e procedimenti d'intervento statale nell'economia. Questa funzione (già evidenziata dalla legge 317/91, che modificava la legislazione del 1934) rendeva quel momento particolare, delicato e rischioso, nello stesso tempo per l'economia locale e per il sistema di piccola e media impresa; e soprattutto faceva chiarezza sulla vera e propria mutazione genetica della Camera, che consisteva nello sforzo sempre più determinato, all'interno dell'ente, di superare la propria concezione centralistica, sostanzialmente slegata dalla realtà circostante e assestata sullo svolgimento di mere funzioni burocratiche o certificative.
Un ruolo che puntava invece, con decisione, verso un dinamismo propositivo di centro pubblico di servizi alle imprese ed all'economia locale, da realizzare con la promozione dello sviluppo del territorio di competenza, in un contesto divenuto sempre più vasto, complesso e mutevole.
Muta, in sostanza, la filosofia operativa della Camera di Commercio spostandosi sul “tipo aziendale”, privilegiando così la figura dell'utente-cliente, nei cui confronti vanno erogati servizi più razionali ed efficienti, adeguati alle esigenze della moderna economia di mercato e localizzati dove si trova la domanda.
Per il '92, la Camera cercò di dare un contributo decisivo alla crescita e all'evoluzione del sistema economico provinciale, con un programma che, pur seguendo la tradizionale tipologia di servizi di carattere amministrativo, d'attività promozionale e di servizi di documentazione e informazione, mirò soprattutto ad integrare l'economia locale con l'economia generale ed in particolare con quella mediterranea e d'alcune aree meridionali, al fine d'integrare la piccola impresa con l'ambiente.
Per qualificare il servizio amministrativo, una delle priorità consistette nel rafforzamento della struttura camerale sul territorio, con l'apertura degli uffici staccati di Gioia Tauro e Siderno. Elemento portante del programma fu la promozione ed il sostegno organizzativo e finanziario per la partecipazione a manifestazioni fieristiche e per l'accesso al credito, nonché programmi di formazione ed aggiornamento per imprenditori e quadri aziendali.
D'estremo interesse il Progetto sull'entrata in funzione della Camera Arbitrale, da istituire per risolvere controversie legate al mondo delle Imprese, così - come, sempre enunciato nel discorso programmatico e riassuntivo del Presidente - la creazione di servizi connessi all'Internazionalizzazione dell'attività dell'Ente, attraverso la creazione di un centro di servizi per la cooperazione nell'Area del mediterraneo (Scam), nonché di servizi legati al rilancio della commercializzazione, con l'apertura della Sala Contrattazione Merci, in Gioia Tauro; d'estremo rilievo, l'interesse verso la struttura fieristica e l'Ente Autonomo Fiera di Reggio; in considerazione che il tessuto economico della città, in quegli anni, era principalmente costituito da una miriade di piccole e medie aziende, che la Fiera poteva aiutare a rendere visibili nel mercato locale e nei rapporti con l'esterno. Nella stessa ottica, un ruolo prioritario fu riservato alla definizione dell'assetto statutario della Comarc Srl, dato che, il ripristino della piena funzionalità degli organi, avrebbe potuto consentire un'attività societaria rivolta all'acquisizione dell'area necessaria per la realizzazione del centro agroalimentare e l'ammissibilità ai finanziamenti nazionali e comunitari.
Tutta una serie di progetti erano stati destinati, anche, al miglioramento delle aree portuali ed alle infrastrutture di trasporto; promuovendo la nascita di una società consortile per la gestione dei porti, ed impegnandosi alla definizione dell'assetto societario della Società Sogas, impegnata nella gestione e nel funzionamento dello scalo aeroportuale reggino. Notevoli anche gli interventi mirati a suscitare cultura d'impresa e nuova imprenditorialità, nella coscienza che l'allargamento della base imprenditoriale costituisce uno dei principali punti di forza delle strategie di sviluppo, attraverso la promozione e l'organizzazione di seminari specifici.
A sostegno dell'economia provinciale, nel 1992, l'Ente destinò una parte cospicua delle risorse camerali per la sottoscrizione del capitale di fondazione della Carical, nella sua veste di Spa, perché convinto di operare una precisa scelta d'intervento nell'economia regionale qual è il credito, il cui ruolo nell'ambiente dei servizi all'impresa assume un'importanza cruciale, contribuendo così a rafforzare una politica del credito atta a fugare tentativi devianti rispetto alle finalità originali della Cassa.
Nello stesso anno, la Camera promosse e partecipò alle attività di società consortili a capitale misto, pubblico e privato, aventi come scopo la prestazione di servizi commerciali, tecnologici ed organizzativi rivolti alle imprese artigiane, produttrici di beni e servizi.
Ampio rilievo è stato dato ai servizi di documentazione ed informazione in vista del passaggio dall'economia locale alla globalizzazione, che impone la ristrutturazione delle funzioni d'osservazione e d'analisi dell'economia territoriale.